Le culture gastronomiche che si sono sviluppate adeguandosi a uno stile di vita duro e faticoso, come quello fra le montagne e i boschi di altura, sono fra le più curiose e ricche di prodotti a ” millimetro” zero, potremmo quasi dire.
Così è, ad esempio per la “Miaccia”, in lingua walser “Miljntscha” , prodotto tipico della tradizione valsesiana, traducibile in italiano con il termine di “meligacce” , un neologismo utile per indicare quelle croste di mais che si staccano dal paiolo, dopo la cottura della polenta.
La loro produzione ed il loro consumo è attestato in alta Valsesia sin dal XV secolo grazie agli inventari dei notai (ferrum ad facenda miliacia). Simile è il piatto canavesano chiamato “Miassa”: si accompagna con il Salignon, ricotta fresca, dalla consistenza cremosa, mescolato con peperoncino e sapori vari.
È fatta con farina bianca, latte, e uova. Viene cotta con un apposito utensile, detto “ferro delle miacce” (formato da due piastre di ferro circolari con lunghi manici), che viene riscaldato sul fuoco e sul quale si versa poi la pastella.
Si può mangiare al naturale, più croccante, come da ricetta originale; nella maggior parte dei casi però viene farcita con toma, gorgonzola, salumi, ma la farcitura più tipica rimane il Salignon ( riconosciuto come prodotto agroalimentare tradizionale P.A.T. – italiano, appartenente a due diverse regioni: il Piemonte e la Valle d’Aosta).
Localmente la ricetta e la preparazione subiscono piccole variazioni: per esempio, la miaccia valsesiana non è uguale alla miassa del Canavese. La variante canavese è fatta con farina di mais e acqua, per la cottura i ferri da miasse sono riscaldati direttamente sulla fiamma, vi si versa sopra la pastella, per poi venire posti di nuovo sul fuoco.